Appena arrivi a Lisbona, una luce abbaiante ti acceca e ti chiedi perchè non hai ascoltato quegli amici che te l’avevano detto e hai lasciato gli occhiali da sole in macchina.
Dev’essere la vicinanza con l’oceano e il fatto che è tutto fatto di pietra bianca che riflette. Sta di fatto che il secondo giorno, per scappare dei turisti, sono saltato sul primo battello pubblico (con lo stesso biglietto degli autobus e metro attraversi la baia, fiume sulla quale si affaccia la città) e mi sono ritrovato in una zona che si chiama Barreiro/Ciudade. Bella popolare, e infatti la folla che seguivo si è infilata di colpo su tutti gli autobus del parcheggio e sono spariti in tutte le direzioni lasciandomi in un’area abbandonata e triste.
Così, con la solita tecnica ho preso una direzione X e sono andato sempre dritto e a passo spedito, come a mostrare al mondo che sapevo esattamente dove andare. Infine ho trovato un negozio di occhiali con un tipo bello preciso convintissimo sul paio di Polaroid perfetto per me. Io un po’ meno convinto. Cmq li ho presi ed ho subito inziato a vedere un po strabico e con pochi dettagli. Ho fermato una signora con il figlio e gli ho chiesto di provarli. Mi hanno assicurato che funziavano perfetti e mi son deciso a non riportarli.
Invertendo la direzione mi son trovato su una passerella che passa sopra una specie di laguna con quell’odore salmastro che non sai se ti piace o no, con la marea bassa, fango e gli stessi asparagi di mare che raccoglievamo da piccoli nel Norfolk, in Inghilterra. Continuando questa passeggiata lungolaguna e un po meno accecato dalla luce, due vecchiette un po spaventate dall’essere fermate, mi indicano un buon ristorantino locale.
Entro in una zona di case vecchie e decrepite, con tutte mattonelle colorate, sbeccate e cadenti, appartamenti che sembrano vuoti e dismessi, ma invece poi esce fuori un bambino in mutande e scopri che ci vivono, e sembra quasi di stare in un campo rom. Putroppo però la Casa Velha, il ristorantino locale, è chiuso. Il menu cmq è promettente.
Ci torno qualche giorno dopo con Ana, l’amica messicana che sono venuto a trovare, e il posticino non delude. Soprattutto la cameriera. Cioè nel senso che è stata super carina, accogliente, ci ha spiegato tutti i piatti ed era felicissima di avere due stranieri.
Un altro posticino niente male dove si è mangiato bene ad ascoltato buona e triste samba dal vivo è il Tabernaculo, gestito da un ganese un po’ basso e panzotto, ma molto simpatico, che riuniva un po i vari passanti africani e sentivo parlare delle guide nella Lisbona Afro. Appena ci siamo messi a ballicchiare il ganese è diventato di colpo meno simpatico, dicendoci di non ballare perchè le leggi lo impediscono bla bla e noi ce ne siamo andati un po indispettiti.
Avevo sentito dire che Lisbona è la nuova Berlino e che era piena di artisti. Sicuramente con la storia del virus e del calo dei turisti, la città si è un po’ spenta ma ero abbastanza sopreso di non aver trovato quasi nessuno in giro, di alternativo serio.
Proprio l’ultima sera invece si è aperto uno spiraglio. Seraphine, una ragazza italiana conosciuta pochi giorni prima, mi porta al Teijo Bar, piccola tana musicale con un gruppetto acustico e il pubblico giusto. Quando però, al secondo gruppo, ci chiedono 10 euro, ce la squagliamo e ci ritroviamo in una situazione ancora meglio.
Sul Belvedere di Santo Estêvão a quanto pare ultimamente si ritrovano tutte le sere e soprattutto nei weekend per fare musica dal vivo e ballare. E così c’era tutto un giro di samba, molti brasiliani a suonare e ballare, con questa musica dolce e triste che ti prende l’anima. Poi sono arrivati due italiani con fisarmonica un taburellone potentissimo che si sono messi a fare pizzica e roba popolare col ritmo zoppo che nessuno riusciva a ballare tranne Seraphine, che era ovviamente felicissima.
Quando poi verso le due sono arrivate le guardie, io ne ho approfittato per andare a dormire qualche ora prima del volo di ritorno. Gli altri devono avere fatto qualche manovra diversiva perchè di lì a poco, dal letto li ho sentiti cantare di nuovo la samba dolce e triste.